Il fenomeno della nebbia a Viterbo
Il capoluogo della Tuscia, situato sulle prime pendici Nord-Occidentali dei M. Cimini, si eleva con i suoi 350 metri circa sopra il pianoro sottostante che si apre in direzione Ovest e Nord, una zona frequentemente interessata da fenomeni nebbiosi da irraggiamento notturno durante le fasi alto-pressorie di “stanca” atmosferica con calma di vento a tutte le quote, in modo particolare nel periodo autunno-invernale, ma talvolta anche nelle altre stagioni. Proprio per questo capita non di raro ad ogni viterbese di scorgere alla finestra il classico “muro” di nebbia interessare la vallata fino alle porte della città, senza però, di norma, inglobarla nel suo “grigio mantello”.
Ma vi sono casi in cui anche la città venga avvolta dalle nebbie? La risposta è sì, ma non nella sua totalità.
Se è vero che la nebbia è un fenomeno relativamente diffuso nella zona pianeggiante dell’aeroporto (in media 47 giorni nebbiosi all’anno) e in quella industriale del Poggino, dove in alcune occasioni può’ perdurare per gran parte del giorno, non si può’ dire la stessa cosa per la città in senso stretto trovandosi in una posizione rialzata rispetto alla piana, e quindi al di sopra dello strato d’inversione.
Si contano comunque alcuni episodi, qualora l’inversione termica sia particolarmente forte e lo strato nebbioso diffuso e sviluppato in altezza (> 300 m), nei quali venga coinvolta un’ampia fetta del capoluogo, che corrisponde all’incirca alla zona periferica centro-settentrionale cittadina fuori le mura. In queste situazioni meteorologiche difatti, banchi nebbiosi più o meno fitti sospinti da brezze settentrionali che spirano dalle zone inversionali sottostanti, si muovono verso i quartieri a Nord del centro storico (Teverina, Villanova, Santa Barbara, Capretta, Ellera, Santa Lucia, Paradiso, La Quercia, Viale Trieste le zone maggiormente interessate) provocando repentini cali della visibilità nel giro di pochi minuti! Si tratta in ogni caso di fenomeni poco duraturi, presenti solitamente nella prima mattinata o in tarda serata, e che tendono a dissiparsi piuttosto rapidamente, arretrando nuovamente nelle vallate di “origine” dell’inversione.
Come già detto, quasi sempre il limite meridionale di questi banchi nebbiosi coincide con le mura cittadine, senza però riuscire a varcarle, impedendo quindi un interessamento vero e proprio del centro storico e in genere di tutti i quartieri meridionali di Viterbo. Talvolta il viterbese si trova davanti uno scenario contrapposto tra un quartiere e l’altro; non è raro infatti essere immersi in una nebbia cupa a Santa Barbara per poi trovare nel frattempo un Sole splendente a Piazza del Teatro!
I fattori principali che impediscono alla nebbia di “assediare” ogniqualvolta l’intera area urbanizzata sono da ricercarsi in:1) particolare orografia della città, il cui centro poggia su una sorta di “sella” che divide, se vogliamo, la zona in due micro-versanti differenti: uno rivolto a NNW, l’altro a W/NW; quindi a parità di altimetria tra la zona centro-nord e quella centro -sud, la prima viene interessata dalla nebbia in quanto maggiormente esposta alle brezze da Nord che accompagnano il fenomeno, la seconda no (posizione più riparata).
2) ostacoli artificiali (mura, palazzi ecc)
3) scarso spessore degli strati nebbiosi stessi presenti nell’area Nord della città, che risulta quindi trovarsi nella parte più “periferica” della colonna inversionale, ragion per cui la nebbia tende sempre più a “sfilacciarsi” nel suo cammino verso il centro città, fino a dissiparsi completamente, lasciando giusto una debole foschia.
Per quando riguarda la nebbia congelantesi, ovvero nebbia che ghiaccia con temperature sottozero, è un fenomeno meteo pressoché sconosciuto in città, mentre si conta qualche episodio all’anno nella zona dell’aeroporto e industriale.
In conclusione, si può’ affermare che la nebbia da irraggiamento a Viterbo assume carattere occasionale solo in una parte di essa, mentre è una presenza del tutto eccezionale (limitata a pochissimi casi l’anno) nel centro città e quartieri meridionali.
Di Matteo Tiberti